Mondo

Da Madre Teresa ai computer. Far studiare l’India: il mio modo di amarla

Don Dino Colussi da Nuova Delhi. E' qui dal 1948. Ha lavorato con Madre Teresa. Ora ha aperto una scuola per giovani programmatori. E Ciampi lo nomina Grand’Ufficiale della Repubblica

di Francesco Agresti

Così sarei un Grande ufficiale», chiede ridendo don Dino Colussi dall?altra parte della cornetta. Anche se l?onorificenza dell?ordine della Stella della solidarietà italiana, attestato istituito nel ?48 e assegnato quest?anno dopo ventitré anni di sospensione, gli è stata conferita dal presidente della Repubblica Ciampi a giugno, la lettera ufficiale è riuscito a leggerla solo qualche giorno fa. «Due giorni dopo ho ricevuto la notizia via email dai miei familiari, ma non so chi mi abbia proposto. Qualche mese prima al consolato mi avevano detto che dall?Italia avevano chiesto informazioni su di me, un episodio a cui non ho dato peso». Ultimo di tredici figli, arriva in India nel 1948 dopo il liceo. Quattro suoi fratelli e una sorella, tutti missionari salesiani come lui, lo avevano anticipato di qualche anno: «Ricordo la battuta del vescovo che ordinò mio fratello sacerdote, a Roma. I miei genitori ci avevano raggiunto da Casarsa della Delizia, il paese in provincia di Pordenone dove sono nato. L?ordinante rivolgendosi a mio padre gli chiese, scherzando, perché anche lui e mia madre non avessero scelto di fare i missionari, e quel buontempone rispose che se lo avessero fatto di missionari ce ne sarebbero stati solo due». Come due sono quelli che ancora operano in India, don Dino e il fratello Luciano. Vita: Dove ha inizio la sua esperienza? Dino Colussi: A Shillong, nell?attuale stato di Meghalaya, tra il Bangladesh e il Bhutan, una delle zone più piovose dell?India. Qui ho completato gli studi in Teologia. Dopo qualche anno iniziò il mio pellegrinaggio. Andai a Krisnanagar dove da lì a poco persi mio fratello. Agli inizi degli anni ?60 vengo trasferito a Calcutta, dove svolgo l?attività di amministratore di una scuola tecnica. Da noi periodicamente arrivavano alcuni giovani mandati da Madre Teresa di Calcutta che in quel periodo ho avuto la fortuna di conoscere. Vita: Quanto rimase a Calcutta? Colussi: Qualche anno. Nel ?68 vengo di nuovo trasferito in Bengala, una zona povera ma molto fertile. Le mie origini contadine mi permettono di sfruttare l?unica risorsa allora disponibile, il terreno. Era possibile fare fino a otto raccolti di verdura in una stagione, così riesco a introdurre l?allevamento del pollo, prima sconosciuto. Dopo le galline fu la volta dei maiali e dei pesci. I raccolti però per essere commercializzati dovevano arrivare fino ai mercati di Calcutta, a 150 chilometri, e la distanza, i mezzi di trasporto e le condizioni climatiche acceleravano il processo di deperimento dei prodotti. Così, arrivati al mercato, eravamo costretti ad accettare prezzi inferiori. Vita: Un bel problema. Come lo risolse? Colussi: Iniziai a pensare come conservare i prodotti. La soluzione ideale sarebbe stata mettere in scatola le verdure, ma per farlo bisognava avere a disposizione dei macchinari, e per acquistare dei macchinari ci voleva del denaro. Nel 1984 una famiglia ebrea convertita al cattolicesimo donò 88mila dollari che investii nella realizzazione di un fabbrica conserviera. Ben presto l?azienda arrivò a occupare direttamente, e con l?indotto, più di 250 persone. Dall?Italia mi mandavano i semi, così introdussi la coltivazione del pomodoro San Marzano, chi poteva mandava degli aiuti economici. La crescita dell?attività produttiva richiedeva l?apporto di tecnici specializzati che in quel momento non avevamo. Ma il caso, o meglio la provvidenza, volle che in quel periodo un?azienda che produceva lattine, la Metalbox, fallisse. Nell?azienda erano tutti comunisti, ma nonostante questo molti tecnici bussarono alle porte della fabbrica per aiutarmi. Vita: Come andava l?attività? Colussi: Molto bene: oltre alle verdure iniziammo a mettere in scatola anche la carne di capra e di pollo. Allora il governo indiano iniziò a rifornirsi da noi. La nostra attività divenne un esempio da emulare, e sorsero così piccoli distretti industriali. Arrivammo a dar lavoro a 500 famiglie in un clima di grande cooperazione, mai uno sciopero, una contestazione. Un giorno, però… Vita: Che successe? Colussi: Arrivò l?ordine dai miei superiori di mollare tutto. Una scelta che ancora oggi non riesco a capire. Secondo loro la mia attività era poco salesiana, dovevo occuparmi dei giovani e non di un?azienda, ma i giovani quando crescono non si accontentano più di un pallone, occorre trovare un modo per impegnarli e trovargli un?occupazione. Poco dopo la mia partenza la fabbrica iniziò ad andar male e un mio fratello la liquidò. Vita: E dove la spedirono, questa volta? Colussi: Ad Orissa, a sud del Bengala. Lì ho dovuto iniziare daccapo. Nuova gente, altra cultura, una nuova lingua. Fu in questo periodo che iniziai a conoscere meglio Madre Teresa di Calcutta, e lavorammo fianco a fianco per molto tempo. Dopo un breve periodo, nella seconda metà degli anni ?90 fui nuovamente trasferito, questa volta a Nuova Delhi. Vita: Quale compito le venne affidato nella capitale indiana? Colussi: Ventotto anni prima del mio arrivo, un altro mio fratello aveva costruito una scuola per meccanici. Io l?ho rilevata e oggi la scuola offre tre indirizzi: stampa, meccanica e informatica. Ogni anno arrivano 340 allievi, i corsi durano dai due ai tre anni, l?attività didattica inizia alle 8 e termina alle 20. Dopo le 16 teniamo corsi per ragazzi che durante il giorno lavorano. Non prepariamo tecnici o programmatori, ma la formazione che garantiamo permettere loro di diventarlo dopo solo qualche mese di esperienza in azienda. Vita: Chi sono i ragazzi che vengono da voi? Colussi: I corsi sono rivolti ad allievi che hanno già conseguito un diploma. La nostra è una scuola di formazione professionale, prepariamo questi giovani a lavorare. Non facciamo distinzioni di religione, infatti non tutti i nostri allievi sono cattolici. I corsi sono a pagamento, la retta è di 30mila lire al mese e comprende vitto e alloggio; chi non può permettersela viene aiutato dalle parrocchie e dai benefattori. Riceviamo aiuti dalla Germania e da altri paesi, a parte alcuni interventi privati. Ma l?Italia per noi non ha mai fatto niente. Vita: Quali possibilità di trovare un lavoro hanno i vostri allievi? Colussi:Terminati i corsi tutti riescono a trovare un?occupazione. Non sono rari i casi in cui i ragazzi ricevono offerte di lavoro ancor prima di diplomarsi. Alcuni sono venuti a lavorare anche in Italia, altri sono stati assunti alla Gaudino, un?azienda di Torino che produce differenziali per i trattori e che ha una fabbrica a Nuova Delhi. Vita: Qual è il suo prossimo progetto? A 72 anni e dopo una vita intensa come la sua, si ha tutto il diritto di rispondere che è arrivato il tempo di riposarsi di lasciar fare agli altri? Colussi: E invece no. Sto lavorando alla costituzione di un fondo per finanziare la vita universitaria di giovani brillanti, e in India ho scoperto che ce ne sono molti che si applicano agli studi con dedizione difficilmente riscontrabili altrove, ma che vengono da famiglie che non possono permettersi questa spesa. Vita: E la famosa new economy? È vero che non ne vuole sentire parlare? Colussi: Quando Clinton è venuto in visita in India, ha parlato di Bangalore come di una nuova Silicon Valley. Sentir dire di queste cose in questi termini mi fa infuriare. Come si fa a parlare di new economy in una nazione in cui ci sono 340 milioni di analfabeti? La velocità con cui la new economy ha creato posti, soprattutto negli Stati Uniti, è la stessa che con cui li sta distruggendo, e chi era partito dall?India sperando di trovare l?Eldorado sta ora facendo ritorno con un pugno di mosche. Magari potrebbero ricominciare dando una mano a don Colussi, o seguire uno dei corsi della scuola tecnica di Nuova Delhi. Per loro, il lavoro sarebbe assicurato. Per aiutare le iniziative di don Dino Colussi: Casa generalizia dei salesiani di Roma, telefono 06 656121 (riferimento: don Sala, ufficio economato).


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA